In Italia si stima vi sia un patrimonio di edifici consistente in 120 milioni di vani, di cui 50 costruiti dopo il 1970, epoca in cui si incominciò a introdurre una legislazione antisismica. Di conseguenza, in linea teorica, i secondi sono costruiti secondo norme sismiche e quindi non necessiterebbero di interventi. La premessa è del presidente dell’associazione Professionisti per il Friuli Venezia Giulia Romeo La Pietra che, intervenendo nel dibattito seguito al terremoto in Centro Italia, rilancia l’urgenza del “fascicolo del fabbricato”.
Dei 70 milioni di edifici precedenti al 1970, prosegue La Pietra, "si sa ben poco, se non che sono stati costruiti in epoche diverse e tutti comunque in assenza di normativa sismica per cui, seppure in diverso grado, sono da presumersi tutti a rischio sismico". Intervenire su 70 milioni di vani è ovviamente un problema economico enorme. Ma, prosegue il presidente dei Professionisti Fvg, "per imbastire una seria politica di prevenzione sismica, prima ancora che sotto il profilo economico, il problema va affrontato sotto quello della conoscenza mettendo a punto una catalogazione di quanti e quali sono gli edifici a rischio sismico e per ciascuno di essi il grado di precarietà e i costi dell’intervento di adeguamento. Si tratta in altre parole di redigere per ciascun edificio il cosiddetto fascicolo del fabbricato, una proposta che le categorie professionali sostengono, sostanzialmente inascoltate, da più di quindici anni".
"Disporre di tali dati sul singolo fabbricato e sull’intero edificato", rimarca ancora La Pietra, "costituisce una base essenziale per intervenire su milioni di immobili, dato che l’enorme impegno economico conseguente non può di certo essere affrontato con le sole politiche fin qui seguite delle detrazioni fiscali. Occorre quindi ripensare l’approccio al problema in termini più ampi attivando con decisione anche altre forme di incentivazione, più stimolanti e in grado di richiamare l’interesse del mercato edilizio nel suo complesso, ad esempio concedere significativi incrementi volumetrici previa “rottamazione del fabbricato”. Concretamente l’edificio, anziché essere adeguato sismicamente, viene demolito e rifatto anche diversamente sulla stessa superficie con un maggior volume".
La Pietra conclude riprendendo spunti dalla proposta che l’architetto Aldo Rossi da tempo va propugnando e che distingue i vani a rischio sismico in due categorie: quelli ante 1945 (circa 30 milioni) e quelli realizzati nel dopoguerra fino al 1970 (40 milioni): "Mentre i primi, definiti edifici storici, dovrebbero rigorosamente essere mantenuti adeguandoli sismicamente, un significativo numero dei secondi potrebbe invece essere oggetto di una rottamazione incentivata con significativi premi in cubatura. Il risultato è quello di indirizzare le risorse economiche disponibili sul patrimonio dei centri storici da un lato e dall’altro di concentrare la cubatura sulle aree esistenti limitando il consumo di ulteriore territorio e mettendo in moto l’economia delle città. Senza tener conto del vantaggio di potersi disfare senza rimpianti di certa edilizia post bellica".
Fonte IL FRIULI
http://www.ilfriuli.it/articolo/Cronaca/L%E2%80%99edilizia_post_bellica_va_rottamata/2/158291